“Di esserti fedele sempre”. Si promette durante il matrimonio per suggellare la completa devozione verso il proprio partner. La promessa è di amare solo e soltanto l’altra metà della coppia. Nella realtà, come ben sappiamo, purtroppo non è così. La maggior parte delle richieste di divorzio e di separazione sono proprio causate da episodi di infedeltà coniugale (o adulterio). Questi possono portare alla completa rovina della fiducia e all’impossibilità di proseguire nella relazione di coppia.
Il tradimento all’interno del matrimonio è un valido motivo per avanzare la richiesta di scioglimento della coppia. Ammettere l’infedeltà, o scoprirla per conto proprio con prove inconfutabili, è però considerato un reato nella legislazione odierna?
Il dubbio è lecito: in fin dei conti, si infrange una promessa solenne fatta all’altare. Del resto, l’infedeltà coniugale è tutt’oggi una causa lecita per l’addebito della separazione. Questo vale se è stata la sola causa, o la causa maggiore, della fine del matrimonio.
La legge sull’adulterio
La risposta è no, tradire il marito o la moglie non è un reato punito dal codice penale. Eppure non è sempre stato così. Due sentenze della Cassazione aboliscono il reato di adulterio (tradimento della donna verso l’uomo) e il reato di concubinato (tradimento dell’uomo verso la donna), emanate rispettivamente nel 1968 e nel 1969.
Fino a quell’epoca, il partner che tradiva il proprio compagno era punito dal Codice Penale, e rischiava quindi da multe salate fino alla galera.
Una precisazione: il reato di adulterio puniva le donne che avessero commesso infedeltà, a prescindere dalla durata della loro relazione; il reato di concubinato, attribuito agli uomini, prevedeva la punizione solo se l’uomo avesse ospitato la sua amante nella casa coniugale o altrove.
La Corte Costituzionale ha ripreso più volte la disparità di trattamento nel corso degli anni. Si è arrivati infine alle sentenze che abolivano i due reati ed equiparavano i tradimenti, che fossero perpetrati dagli uomini o dalle donne.